mercoledì 16 dicembre 2009

Dall'Austria all'Irlanda la crisi finanziaria torna a stringere l'Europa

All'ultimissimo momento il vicino emirato Abu Dhabi ha scongiurato l'imminente default di Dubai World, grazie a un prestito da $10 miliardi. Tuttavia le prospettive per l'emirato di Dubai e soprattutto per i sui creditori esteri non sembrano affatto rosee soprattutto perché, come notato da Karl Denninger, la retorica ufficiale è molto attenta nello specificare che gli aiuti di Stato sono mirati ai creditori locali.

Ma per il momento Dubai ha perso i riflettori di questo atto della crisi che invece si sono rivolti sull'Europa.

Infatti, mentre è tutt'ora in corso la rotta dei mercati finanziari greci, tanto drammatica da strappare al premier Papandreou parole come "taglio della spesa" e "aumento delle tasse", rientrano ufficialmente nel vortice della crisi finanziaria anche Austria e Irlanda.



L'altro ieri il governo austriaco ha nazionalizzato la quinta banca del Paese la Hypo Alpe Adria concedendo un pacchetto di aiuti da 5,5 miliardi di euro. Che si sommano ai 90 miliardi di euro di aiuti di Stato già necessari per salvare le banche austriache a causa della forte esposizione verso i paesi dell'Est Europa citata tempo fa in Default sul debito pubblico italiano e uscita dall'euro, può accadere veramente?

E ieri è toccato al governo irlandese di dover ammettere la necessità di aumentare dal 25% al 50% la quota di capitale pubblico nelle due maggiori banche del Paese per rafforzarne il capitale. Che tradotto vuol dire per ripianare le perdite, già realizzate o previste, dell'ordine di qualche miliardo di euro.

Qualcuno è ancora sorpreso che il cambio euro dollaro sia passato da 1,51 a 1,45 in due settimane?

venerdì 11 dicembre 2009

Il rischio di default della Grecia si insinua nel debito della regione Lombardia

Finalmente trovo un eccellente articolo finanziario su un giornale italiano e si tratta addirittura un articolo di inchiesta su cui i diretti interessati hanno preferito non commentare. Si tratta di merce rara e va accolta con tutti gli onori, complimenti a Morya Longo.

L'articolo sul Sole24Ore di ieri Il pericolo greco minaccia il debito della Regione Lombardia racconta come più di 100 milioni di euro di titoli di Stato della Grecia (vedi Grecia: rischio di default sul debito pubblico, è una cosa seria?) siano in questo momento parcheggiati presso la UBS su un fondo della regione Lombardia con l'accordo che il potenziale rendimento dei titoli rimane alla banca svizzera mentre le potenziali perdite rimangono in capo ai cittadini lombardi. Invito a leggere l'articolo nella sua interezza perché l'operazione descritta è l'archetipo delle operazioni finanziarie fatte dalle nostre amministrazioni pubbliche, in cui l'incompetenza dei nostri amministratori è superata solo dal disprezzo dei banchieri per il benessere finanziario dei propri clienti. Ovviamente la notizia è quella del contagio del rischio greco su una amministrazione pubblica italiana che in teoria poco o nulla ha da spartire con la Grecia. Una componente fondamentale del panico del 2008/2009 è stata proprio questa: in un mondo finanziario così interconnesso e complesso (spesso inutilmente complesso) non è possibile prevedere dove affiorerà il prossimo cadavere e l'unica strategia di investimento possibile è di assumere che i cadaveri siano ovunque.

Come valore aggiunto però vorrei sottolineare come in questa operazione finanziaria ci sono una serie di chicche che non sarei mai riuscito a predisporre in un esempio di fantasia.


Cominciamo con il flagrante conflitto di interessi di UBS che piazza ad un proprio cliente (la regione Lombardia) dei titoli emessi da un'altro proprio cliente (il governo greco), evidentemente perché non è riuscita a smerciarli allo stesso prezzo presso investitori più accorti. Naturalmente incassando commissioni su entrambi i fronti.

Inoltre, l'intero accordo si basata sulla premessa che per qualche ragione sia conveniente per la regione Lombardia avere contemporaneamente un debito a lungo termine verso gli obbligazionisti e un credito a breve termine presso UBS. Le banche fanno il grosso dei propri utili, che non sono pochi, facendo esattamente l'opposto, concedono credito a lungo termine finanziandolo con debito a breve.

Dulcis in fundo, l'articolo sostiene che secondo gli accordi i proventi del fondo vanno alla UBS che però non lo garantisce, quindi la banca svizzera ha potuto allegramente riempirlo dei titoli più rischiosi in circolazione perché sono quelli che rendono di più... fino al giorno in cui vanno in default, ma questa eventualità non è un suo problema. Se le cose stanno veramente così si tratta di un clamoroso esempio del gioco d'azzardo preferito dalle banche il "testa o croce", nella famigerata variante: "Testa vinco io, croce tu perdi".

Sempre di più La luce alla fine del tunnel... non mi rassicura affatto.

martedì 8 dicembre 2009

Grecia: rischio di default sul debito pubblico, è una cosa seria?

Dopo il breve panico finanziario acceso nel Golfo Persico, e di cui abbiamo parlato in Dubai Holding fa paura dopo il default di Dubai World, i mercati del credito si trovano ora a fronteggiare una nuova crisi di confidenza centrata sul rischio di default sul debito pubblico. E questa volta si tratta di un a Paese occidentale e addirittura interno all'Unione Europea: la Grecia.

Chi ci segue non sarà sorpreso di scoprire che l'Europa ha numerosi scheletri nell'armadio nella forma di Paesi che hanno seri problemi di gestione del debito pubblico, se ne è parlato ampiamente già da novembre dell'anno scorso:
Ai problemi cronici dei cosiddetti PIGS (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna) si sono aggiunte prepotentemente l'Irlanda e in maniera meno plateale anche l'Austria. In proposito è molto interessante il rapporto trimestrale di CMA sulla probabilità cumulativa di default dei titoli di Stato di tutto il mondo elaborato a partire dal valore di mercato dei Credit Default Swaps.

Ora la debolezza del governo greco comincia a preoccupare seriamente, soprattutto perché il debito pubblico greco stato declassato a BBB+ da Fitch, la più piccola delle tre agenzie di rating semi-monopoliste, ed è stato messo in revisione da parte delle altre due. Questa mattina la probabilità cumulativa di default è di oltre il 16% nei prossimi 5 anni (come termine di paragone l'Italia è data intorno al 6%, mentre Germania e Stati Uniti intorno al 2%).

Allo stato attuale non so giudicare il rischio di un evento di default imminente, come nel caso di Dubai World, ed è interamente possibile che si tratti di un semplice riprezzamento del rischio simile a quello che è avvenuto ad esempio per Argentina, Lituania e Islanda diversi mesi fa senza che il default si materializzasse nell'immediato.

Come italiani, abbiamo tutto l'interesse a seguire con attenzione quello che succede ad un membro dell'Unione Europea e dell'euro in difficoltà finanziarie, può tornarci utile.

domenica 6 dicembre 2009

Dubai Holding fa paura dopo il default di Dubai World

Nelle ultime settimane il rischio di default sui titoli di Stato emessi dai Paesi ha finalmente fatto capolino sulle prime pagine dei giornali a causa del default della finanziaria pubblica Dubai World. Ma per capire cosa è successo bisogna partire la lontano.

Dubai in corsa come capitale finanziaria mondiale

Il boom immobiliare del piccolo emirato arabo di Dubai sarà probabilmente utilizzato come definizione di bolla speculativa immobiliare per generazioni e mi sento un po' in colpa a non averlo segnalato prima tra i Paesi da tenere d'occhio.

A differenza del vicino Abu Dhabi l'emirato di Dubai non ha riserve petrolifere degne di nota e il grosso dell'economia locale è basata sul turismo e sui servizi finanziari erogati ai ricchi e più turbolenti vicini. A partire dalla guerra del Golfo degli primi anni '90 Dubai si è affermato come capitale finanziaria regionale e nelle intenzioni del governo, tutt'altro che democratico, ha tentato di proporsi come centro finanziario di livello mondiale, in concorrenza diretta niente meno che con Londra e New York.



I piani in grande dello sceicco Maktoum III bin Rashid Al Maktoum e del suo successore Mohammed bin Rashid Al Maktoum si sono sposati con il boom immobiliare mondiale e hanno trasformato un lembo di deserto affacciato sul Golfo Persico in una città in cui non era previsto alcun limite al lusso e allo sfarzo in nome del mirabolante futuro di capitale finanziaria mondiale. Dubai City ospita (o ospiterà se e quando saranno completati) tra l'altro: il grattacielo più alto del mondo, tre arcipelaghi artificiali, un mega-centro commerciale con 5 piste da sci indoor e uno dei maggiori aeroporti mondiali.



Naturalmente le varie banche d'affari che hanno investito e fatto investire a Dubai  hanno dimostrato senza ombra di dubbio la viabilità economica di costruire 5 piste da sci indoor nel bel mezzo del deserto con una quantità di meticolose analisi di mercato basate sul previsto arrivo di orde di banchieri e hedge fund managers. Ma non dovrebbero le stesse analisi dimostrare che identiche piste da sci indoor sarebbero almeno altrettanto redditizie a Londra e a New York? Città che sono già oggi zeppe di banchieri e hedge fund manages?

La bolla immobiliare scoppia

Con l'avvento della crisi mondiale il futuro del grande centro finanziario sembra decisamente più incerto e dei i numerosissimi cantieri ancora aperti molti sono fermi per problemi finanziari o per mancanza di acquirenti finali. Sembra che qualcuno si sia finalmente chiesto la fatidica domanda: "Ma cosa ci faccio con un isola da sei milioni di dollari davanti a un pezzo di deserto se non trovo un altro gonzo a cui venderla a sette?"

Come da copione molti dei compratori sono fortemente indebitati con le banche locali e si sono trovati in brevissimo tempo con i mutui superiori al valore degli immobili acquistati. Salvo che a Dubai chi non paga i debiti finisce dritto in galera e le carceri dell'emirato sono forse l'unico bene immobile nemmeno sfiorato dal boom del lusso. Così si moltiplicano le storie di occidentali indebitati fino al collo che lasciano tutto e fuggono clandestinamente dal Paese, tanto che le auto abbandonate nel parcheggio dell'aeroporto internazionale sono diventate un elemento del paesaggio.

Il default di Dubai World

Il 25 novembre la finanziaria statale Dubai World, coinvolta in tutti i progetti immobiliari più stravaganti dell'emirato, ha chiesto ai propri creditori di poter posticipare il pagamento di un debito di $3.5 miliardi in scadenza a fine anno almeno fino a maggio 2010. Se il pagamento non avverrà a dicembre, anche se la richiesta fosse accolta le agenzie di rating dichiarerebbero il debito in default, anche se solo parziale.

Il debito totale di Dubai World è stimato in $59 miliardi, quasi interamente detenuto da stranieri e il governo di Dubai ha detto a chiare lettere che non intende accollarsi le perdite. Dopo l'iniziale reazione di panico i mercati finanziari si sono rapidamente scrollati di dosso la notizia, ma la portata dell'evento in sé e soprattutto del possibile effetto domino ancora non è chiara.

A chi fosse interessato consiglio i seguenti link:
E ora si guarda a Dubai Holding

L'attenzione del mondo finanziario si è ora spostata su un altro colosso finanziario a controllo pubblico la Dubai Holding che è la società che controlla la fortuna dello sceicco stesso e che ha accumulato miliardi di debiti al fine di finanziare lo sviluppo immobiliare commerciale a Dubai. Dubai Holding oltre ad essere, secondo una persona informata sui fatti, una "bloody mess" (tradurrei con "un casino assurdo" se mi concedete la licenza) è anche una proprietà della famiglia reale e come tale non segue le normali regole in caso di fallimento o di liquidazione. Prestare soldi a uno sceicco che nella propria terra può farsi le leggi che vuole potrebbe rivelarsi una idea anche peggiore di concedere un mutuo a un disoccupato di Miami.

Mai fu più appropriata l'espressione: "castelli di sabbia".

venerdì 13 novembre 2009

La Federal Reserve Bank of New York, il tuo nuovo padrone di casa

Del groviglio di interventi straordinari realizzati dalla Federal Reserve durante i lunghi mesi del panico finanziario si sa tutt'ora poco e niente. La FED si è praticamente asserragliata dietro l'assioma che è assolutamente indispensabile mantenere il segreto assoluto al fine di garantire la stabilità finanziaria degli Stati Uniti. Non si deve sapere quali operazioni siano state fatte, chi ne sia stato il beneficiario e a quali condizioni, e soprattutto mai e poi mai si può rivelare come sia composto lo stato patrimoniale della FED.

Non valgono tutti i segni di ripresa dell'economia e dei mercati finanziari sbandierati ai quattro venti quando si tratta di dimostrare quanto governo e burocrazia siano stati bravi nel "salvarci" dalla "Seconda Grande Depressione", semplicemente regalando soldi gratis alle banche. Se solo trapelasse qualche dettaglio su "cosa" effettivamente è stato fatto, si rischierebbe istantaneamente il caos. Ma non solo il grande pubblico, nemmeno il Congresso americano potrebbe reggere a una vista del genere. Solo i banchieri centrali hanno lo stomaco per conoscere i dettagli. A noi basti sapere che tutto quello che hanno fatto lo hanno fatto per noi e i guadagni stratosferici delle banche "salvate" lo stanno a testimoniare.

Nonostante la difesa tetragona del segreto dell'attività della FED molto lentamente stanno emergendo alcuni particolari su alcune delle operazioni. L'ultima chicca è particolarmente gustosa: la FED è diventata l'orgoglioso proprietario di un centro commerciale a Oklahoma City (en), un gioiello di architettura commerciale che ha l'unico difetto di essere totalmente deserto.



Ma come è potuto accadere che la banca centrale più influente del mondo si trovi a contrattare gli affitti con dei negozianti di abbigliamento di Oklahoma City?

La storia inizia a marzo del 2008 con il collasso di Bear Stearns che viene "salvata" da JPMorgan con l'aiuto della Federal Reserve Bank di New York. Ossia JPMorgan, temendo di essere la tessera immediatamente successiva del potenziale domino, acquista il meglio di Bear Stearns per $1.1 miliardi, ma solo dopo aver lasciato alla FED la patata bollente di $29 miliardi di strumenti finanziari "illiquidi", o per maggiore precisione di dubbio valore.

Uno di questi strumenti finanziari "illiquidi" era un prestito al costruttore del centro commerciale di Oklahoma City garantito dall'immobile stesso. Una volta terminato il centro commerciale non è decollato e il costruttore ha mollato baracca e burattini al malcapitato finanziatore che si ritrova in mano una struttura vuota di valore molto minore del prestito residuo.

Un eccellente esempio di cosa sia esattamente il collasso del mercato immobiliare commerciale attualmente in corso negli Stati Uniti. E anche in Italia si direbbe, per lo meno a giudicare dalla quantità di cartelli "Affittasi uffici" e "Affittasi locali commerciali" che trovo sulla strada per andare a lavoro.

mercoledì 4 novembre 2009

CIT Group è il quinto fallimento più grande della storia, ma nessuno sembra accorgersene

Come ampiamente previsto e atteso CIT Group, una finanziaria indipendente specializzata nel credito alle piccole e medie imprese, ha presentato i libri al tribunale fallimentare di New York richiedendo di seguire la strada della ristrutturazione del debito detta "Chapter 11".


In un fallimento di tipo "Chapter 11" il tribunale proporrà ai creditori dell'azienda un taglio sul valore del debito in cambio della proprietà dell'azienda. Ovviamente i proprietari precedenti, ossia gli azionisti e i possessori di azioni privilegiate, rimangono con in mano un pungo di mosche. Tra loro figura anche il governo americano che in uno dei numerosi piani di salvataggio aveva acquistato un paio di miliardi di dollari azioni privilegiate nell'ambito del famigerato piano TARP.



CIT Group è stata colpita dalla crisi economica che ne ha falcidiato i clienti e soprattutto dal collasso del mercato immobiliare commerciale tutt'ora in corso. In sostanza le piccole e medie aziende ottenevano da CIT dei finanziamenti commerciali utilizzando i propri immobili come garanzia o addirittura ottenevano dei mutui per poter costruire nuovi immobili. In una replica quasi esatta del mercato dei mutui sugli immobili residenziali da una parte la crisi economica ha impedito all'azienda di pagare e e dall'altra il crollo del valore degli immobili commerciali ha reso le garanzie non sufficienti a recuperare il credito residuo.

Il motivo principale per cui i $70 miliardi di debiti di CIT fanno così poca paura rispetto ai $600 miliardi di Lehman Brothers, che ha gettato i mercati finanziari mondiali nel panico più assoluto per giorni, è che il fallimento era stato previsto e preparato da tempo. Durante i numerosi tentativi di salvataggio degli ultimi mesi una parte delle perdite sono state trasferite sul contribuente americano e le numerose banche di Wall Street che figurano tra i creditori hanno ottenuto i trattamenti di favore che ritenevano opportuni. Inoltre utilizzando il fallimento "Chapter 11" l'azienda può di fatto continuare ad operare e una volta approvato il piano di ristrutturazione del debito ha la possibilità di fare utili. Almeno per un po' di tempo.

La dirigenza di Lehman Brothers di contro non aveva preparato un piano per tentare il fallimento "Chapter 11", perché fino all'ultimo si aspettava un salvataggio governativo. Quando poi il salvataggio è stato giudicato troppo oneroso da Paulson e Bernanke per Lehman non rimaneva che la strada del "Chapter 7" ossia la liquidazione forzosa dei beni dell'azienda, che poi si sono rivelati di valore spaventosamente inferiore rispetto a quanto iscritto a bilancio (en).

Questo è il punto fondamentale: CIT Group non sarà costretta a vendere i propri beni, ma potrà continuare a iscriverli a bilancio utilizzando valori di pura fantasia... e così l'intera Wall Street. Non c'è nulla di cui preoccuparsi.

giovedì 8 ottobre 2009

La Lettonia nuovamente a rischio di default fa paura alle banche Svedesi

Torniamo su un tema che ci aveva appassionato nei lontani giorni del panico finanziario, il rischio di default dei Paesi Baltici ed in particolare della Lettonia.

Yves Smith di Naked Capitalism ha la traduzione inglese di un articolo svedese riguardo allo stato delle trattative tra Lettonia e IMF. Il bilancio preventivo per il 2010 dovrebbe essere approvato entro questo mese e i draconiani tagli di spesa richiesti dall'IMF per concedere l'agognato prestito sembrano ben lontani dal poter essere approvati da un governo che al contrario rischia il collasso. Da giorni circolano vari scenari di default o svalutazione della moneta lettone e ci si domanda quali banche rimarranno coinvolte e in che misura. E soprattutto quale sia il rischio che si inneschi un effetto domino con le altre economie in difficoltà, più o meno vicine.



Per quello che se ne sa le banche svedesi sono particolarmente esposte avendo elargito prestiti in euro a privati e aziende che oltre alla drammatica crisi economica (PIL a -18% in un anno) rischiano anche di dover far fronte ad una massiccia svalutazione della propria moneta, che corrisponde ad un aumento reale del debito residuo. Per quanto l'economia della Lettonia sia decisamente piccola nel caso che l'accordo con l'IMF salti il governo svedese è preparato ad affrontare una seria crisi bancaria. Naturalmente il fatto che lo scenario del default lettone è sul tappeto da diversi mesi ha dato tempo a banche e governi di prendere contromisure e implementare strategie di minimizzazione del danno. Anche nel caso che il sistema finanziario della Lettonia collassi in maniera simile a quello islandese gli effetti sul sistema finanziario mondiale dovrebbero essere molto limitati. Purché non si estenda il contagio.

Secondo il Ministero degli Affari Esteri la banca italiana più esposta è la solita Unicredit che però ha una penetrazione sul mercato lettone significativamente più bassa che negli altri paesi dell'est Europa e anche negli scenari peggiori non dovrebbe risentirne granché. Ancora, purché non si estenda il contagio.

Aggiornamento: oops! qualche ora dopo aver pubblicato questo post è circolata la notizia che un'asta  di debito pubblico lettone è andata deserta e che il ministro delle finanze ha assicurato che il Lat non verrà svalutato. Come nota Yves Smith, quando un Paese arriva a dover negare di voler svalutare la propria moneta, di solito è ormai troppo tardi.

domenica 4 ottobre 2009

Occupazione e disoccupazione negli Stati Uniti: ma quale "ripresa imminente"?

Venerdì il consueto appuntamento con il Bureau of Labor Statistics (BLS) per i dati mensili sull'occupazione USA è stato particolarmente interessante e per niente rassicurante sullo stato dell'economia americana. Il dato che fa i titoli dei giornali è stato piuttosto negativo e peggiore delle attese, 260.000 post di lavoro persi ad agosto e disoccupazione al 9,8%, ma i dettagli interni, quelli che sui giornali specializzati quando va bene finiscono nei meandri delle pagine di economia, sono seriamente preoccupanti.

Cominciamo con la drammatica contrazione di circa 1 milione di unità di forza lavoro e occupazione ad agosto segnalata da Karl Denninger in September Unemployment: ACTUAL LOSS 995k. Ricordiamo che la forza lavoro è composta dai cittadini occupati più quelli che stanno attivamente cercando lavoro e che il tasso di disoccupazione è la percentuale di chi cerca attivamente lavoro sul totale della forza lavoro. Grazie a questa definizione quando un disoccupato smette di cercare attivamente lavoro, ad esempio perché scoraggiato, il tasso di disoccupazione diminuisce! Da mesi ormai il tasso ufficiale di disoccupazione U3 viene calmierato dalla massa di ex-disoccupati che escono dalla forza lavoro.

In Employment-Population Ratio, 10% Unemployment, Part Time Workers anche Calculated Risk si occupa di altri indicatori del mercato del lavoro e presenta, come suo solito, degli interessanti grafici sugli andamenti di lungo periodo. Il dato più preoccupante che emerge è quello sulla partecipazione al lavoro, ossia il rapporto tra occupati e popolazione, riprodotto sotto, che è letteralmente precipitato in un paio d'anno a livelli visti l'ultima volta all'inizio degli anni '80.



L'altro dettaglio ignorato dalla stampa, ma non da Zero Hedge, è stata la candida ammissione del BLS di aver probabilmente sottostimato il numero dei posti di lavoro persi nell'ultimo anno di circa 800,000 unità, su un totale di 4,8 milioni che erano stati riportati. Ma la cosa non sarà ufficiale fino a febbraio del 2010 e i paladini delle "ripresa imminente" si prenderanno la licenza di ignorare il dato fino ad allora. Riporto sotto un altro grafico tratto da Calculated Risk che ci aiuta a visualizzare l'impatto della correzione nel confronto con altre recessioni.



Nel grafico è disegnata la percentuale di posti di lavoro persi a partire dalla picco di occupazione precedente, si tratta di una misura non standard che è stata scelta da Calculated Risk dopo un interessante dibattito con Barry Ritholtz di The Big Picture su come meglio comparare eventi economici lontani nel tempo.

Complimenti, grazie alla revisione del BLS l'attuale crisi economica strappa la palma di "peggiore recessione dalla Grande Depressione" alla recessione del 1948.

giovedì 24 settembre 2009

Zero Hedge: un altro blog aggiunto alle letture quotidiane

Durante questa lunga pausa ho continuato a interessarmi degli avvenimenti e a seguire fedelmente i soliti blog di economia e finanza indicati nella colonna di destra. La scena non è cambiata di molto da prima dell'estate e l'unica vera novità è l'ascesa verticale di Zero Hedge, un blog multi autore con un taglio molto finanziario e in alcuni casi decisamente tecnico e con un tono sarcastico e velenoso degno dei migliori tabloid (attenzione, è anche uno dei blog più difficili in assoluto da leggere per chi non sia fluente in inglese).



Come spiegato nel manifesto del blog autori sono anonimi e anzi la firma principale Tyler Durden è a sua volta uno pseudonimo usato da più autori. L'aura di mistero, la sorprendente conoscenza dei dettagli del mondo della finanza, oltre alla evidente ricchezza di mezzi del blog ha dato adito a dubbi sul fatto che si tratti di una qualche operazione poco chiara. Sta di fatto che questi dubbi arrivano particolarmente dai giornali finanziari tradizionali che stanno perdendo copie e credibilità a scapito di dei blog come Zero Hedge.

Come sempre nel mondo di internet chi sei non vale granché, quello che conta è il valore di ciò che hai da dire e fin'ora la brigata catastrofista e scanzonata di Zero Hedge si è fatta valere sollevando temi e scovando connessioni al livello dei migliori.

sabato 19 settembre 2009

La luce alla fine del tunnel...

Tutti parlano di "ripresa economica". La si dice imminente o quasi, la si prevede un po' fiacca, ma forse no, chissà.

In ogni caso il messaggio diffuso dall'establishment è chiaro: "c'è luce alla fine del tunnel".

Chi ha seguito questo blog o gli altri in inglese ai quali in buona parte mi rifaccio sa che il problema profondo non è prettamente economico, ma finanziario, ossia la montagna di credito esteso dagli investitori a persone e aziende che non saranno in grado di ripagarlo nemmeno nel migliore dei mondi possibili, figuriamoci in un clima economico stagnante o peggio.

Cosa è stato fatto riguardo a questo che è il problema di fondo?

Semplicemente si sono sistematicamente spostate sulle spalle dello Stato le enormi perdite da chi si era assunto il rischio di un investimento a fronte di una prospettiva di guadagno. Io, te e milioni di altri cittadini di quasi tutti i Paesi ci troviamo obbligati a partecipare alle perdite, ma non ai guadagni, di colossali scommesse speculative, e perfino a pagare lauti bonus agli inetti croupier.

E questa secondo loro è "la soluzione"...

Sì, vedo della luce in lontananza... ma non sembra la fine del tunnel...


(Un ringraziamento speciale va ad A.U. le cui mail sono state il catalizzatore di questo post e, spero, del riavvio del blog.)

giovedì 9 luglio 2009

Lo stato della California ridotto alle cambiali (IOU) e viene tagliato a "BBB"

Come fa notare Andrea nei commenti abbiamo un paio di gustose novità circa lo stato della California:
[...] in chiusura di bilancio, con le casse vuote, la California ha cominciato a emettere degli IOU (cambiali, I owe you), con l'intesa verso le banche che queste le avrebbero eventualmente ritirate (al modico interesse del 3,75%).
poi la pugnalata, ovvero l'annuncio che le ritireranno solo fino a venerdì, e quindi chi le accetterà se le mangi.
buon appetito.
Questo è uno degli aspetti di instabilità intrinseca della finanza moderna basata sugli schemi Ponzi, anziché sulla allocazione produttiva del capitale. La California ha cominciato a pagare i fornitori con gli IOU (cambiali) perché non ha il becco di un quattrino, ma aveva un rating "A-" (Fitch). Dunque gli IOU venivano considerati "A-", nonostante che la loro stessa esistenza sia la prova provata che la California no riesce a pagare nemmeno i propri debiti a brevissimo termine. E le banche avevano promesso di prenderli.

Poi Fitch si è svegliato dalla catalessi e, cogliendo tutti di sorpresa (??), ha annunciato di aver tagliato il rating della California a "BBB"! E le banche si sono precipitate a non prenderli più. Il che ovviamente rende, in un circolo vizioso, la situazione finanziaria della California ancora più precaria.

La cosa ridicola è che il rating della California nella realtà non è affatto "BBB" ma "D" cioè default. Perché pagare i debiti a brevissimo termine verso i propri fornitori con delle cambiali vuol dire NON PAGARLI AFFATTO e qualsiasi mente lucida lo considererebbe un evento di default a tutti gli effetti. Figurati quanta probabilità hanno di essere pagati i creditori a 5 anni!

Ma le compagnie di rating contano sul fatto che i debiti della California saranno ripagati dal governo federale... il quale naturalmente non ha il becco di un quattrino a sua volta, ma è ancora in grado di farsi prestare i soldi... ancora...

Charles Ponzi vive! Viva Charles Ponzi!

venerdì 3 luglio 2009

Sette banche USA fallite in un solo giorno! Raggiunta quota 52 nel 2009

Approfittando del fine settimana lungo alla FDIC hanno dato una festa: addirittura sette banche chiuse in un solo giorno (en), è un record per questa crisi. Siamo a quota 52 nel 2009.

Un sicuro segno di ripresa e con un po' di ottimismo non ci scomporremo nemmeno quando finalmente arriveremo alle 10 banche fallite a settimana che sono necessarie per smaltire l'inventario di banche sottocapitalizzate (si vedano i commenti a Fallite altre tre banche negli Stati Uniti).

Il motivo per cui i fallimenti bancari stanno aumentando solo ora è che il grosso delle piccole banche americane sono esposte verso il mercato immobiliare commerciale (Commercial Real Estate o CRE) più che a quello residenziale (Resitential Real Estate). Come ben analizzato da CalculatedRisk l'andamento dei prezzi degli immobili commerciali ha un ritardo di parecchi mesi rispetto ai prezzi degli immobili residenziali, quindi il grosso della crisi si sta facendo sentire ora.

venerdì 26 giugno 2009

Lo confesso: sono un "catastrofista"

Apparentemente in questa Italia, che fatico sempre di più a prendere sul serio, da oggi non è lecito usare matematica e logica di base quado si parla alle altre persone, ma esclusivamente l'ottimismo.

Pur essendo estremamente marginale nel panorama dell'informazione italiana, mi sono sentito tirato in causa come reo di utilizzo improprio di materiale cerebrale. E in effetti mi sento di dover candidamente confessare la mia colpa: in cuor mio sono convinto che siamo nel bel mezzo della crisi. Anzi, in tutta onestà, ritengo che siamo più vicini all'inizio che alla fine. E a dirla proprio tutta, tutta, penso che la portata di questa crisi sia superiore a quella della Grande Depressione degli anni '30.

Insomma sono un "catastrofista". E a questo punto anche reo confesso.

Naturalmente il fatto che questa mia convinzione derivi da un lungo e piuttosto approfondito studio di dati, teorie e modelli economico finanziari, e dalla valutazione di decine di opinioni autorevoli, è totalmente irrilevante. Il fatto che fino ad ora i "catastrofisti", e io tra loro nel mio piccolo, siano stati gli unici in grado di predire con una sorprendente precisione il succedersi di eventi considerati impossibili da dignitari e valletti di corte, è solo un fastidioso dettaglio.

L'idiota alla guida affronta la curva a 200 km/h, basta un po' d'ottimismo e l'auto terrà la strada. La fisica non conta. Le gomme lisce e le sospensioni finite non sono il problema. Sono le Cassandre e il pessimismo che fanno sbandare...

Sigh!

[Ok, questo è uno dei motivi per cui sto postando di meno: sono esasperato dall'idiozia della classe dirigente e non riesco a rimanere calmo. Il mio problema non è che sono corrotti, criminali e stanno vendendo il futuro dei miei figli per poter fare un'altra serata con quattro zoccholette. In qualche modo questa è la normalità del potere. Quello che mi manda in bestia è che sono stupidi. Stupidi, stupidi, stupidi come galline.

Essere soggiogati da un genio del male è una condizione triste, ma per lo meno ha una sua dignità. Ma da questa manica di incapaci...]

giovedì 11 giugno 2009

I bond dell'IMF, gli investitori internazionali e l'immaginario stato della Lattonia

A complicare le cose per il Tesoro a stelle e strisce ci si mette anche l'IMF che sta pianificando di emettere debito proprio, indicizzato rispetto ad un calmiere di valute anziché in dollari, per finanziare il salvataggio della prossima ondata di nazioni sulla strada del default (Lettonia in prima fila (en)).

Diversi finanziatori internazionali (cioè le banche centrali di Cina, Brasile, Russia e India) si sono mostrati interessati ai bond dell'IMF apparentemente al fine di ridurre l'esposizione al dollaro e agli Stati Uniti.

Incidentalmente, questa storia del debito dell'IMF va vista in dettaglio, è probabile che la strategia principale sia semplicemente quella di scalare di un gradino la struttura del capitale dei Paesi in difficoltà.

Cerco di spiegarmi: l'immaginario stato della Lattonia è in difficoltà perché ha $200 milioni di dollari di debito in scadenza a luglio e ovviamente non ha liquidi per ripagarlo (in realtà non si è mai nemmeno posto il problema!), come sempre cerca di rifinanziare, ma questa volta gli investitori internazionali che gli avevano prestato i $200 milioni fino a ieri, oggi hanno paura e non rinnovano i prestiti. La Lattonia allora va in tutta fretta dall'IMF e implora di essere salvata: ha bisogno di $200 milioni entro luglio. La trattativa viene fatta senza andare per il sottile e l'IMF concede il prestito imponendo condizioni draconiane, tra cui la precedenza dell'IMF stesso su tutti i creditori dello stato lattone.

Naturalmetne l'IMF i soldi non ce li ha e deve farseli prestare. Emette bond per $200 milioni, che vengono prontamente acquistati a piene mani dagli stessi investitori che stavano fuggendo dalla Lattonia e si trovano giusti, giusti con $200 milioni da piazzare in qualche investimento sicuro. Tutto procede per il meglio e lo stesso dollaro va dalla Lattonia alla Cina, dalla Cina all'IMF e infine torna in Lattonia esattamente da dove era partito.

Il vantaggio per gli investitori è che ora i $200 milioni sono saliti di un gradino nella struttura del capitale, perché il creditore IMF ha la precedenza sugli altri creditori dello stato lattone, e prestare all'IMF che presta alla Lattonia è più sicuro che prestare direttamente alla Lattonia.

Alla fine del gioco chi ci ha rimesso sono gli altri investitori in debito pubblico lattone, in genere fondi pensione e piccoli risparmiatori che rischiano di ripetere un'esperienza gia nota (en).

Lo stato della California, la Federal Reserve Bank e il Tesoro degli Stati Uniti...

... cosa hanno in comune?

Due cose:
  1. fanno parte della mia death watch list istituzionale dal lontano settembre del 2008,
  2. ieri hanno fatto notizia all'unisono per problemi finanziari.
Lasciatemi tradurre qualche titolo:
  1. California nears financial "meltdown" as revenues tumble (en) - "La California si avvicina al collasso finanziario mentre le entrate fiscali crollano", Reuters. E il commento di Mish California 50 Days From Financial Meltdown.
  2. Fed Would Be Shut Down If It Were Audited, Expert Says (en) - "Secondo un esperto la FED dovrebbe essere chiusa se fosse sottoposta a un controllo", CNBC. E il commenti di Denninger The Fed: Bankrupt.
  3. Treasury Holds 'Awful' Auction: 10-Year Yield Hits 3.95% (en), CNBC - "Il Tesoro tiene un asta 'orribile': il rendimento dei buoni a 10 anni tocca 3.95%" (in realtà è il 3.99%). Nessun commento di rilievo fin'ora.
L'impatto, almeno per la FED e il Tesoro, ancora non sembra imminente, ma l'iceberg è in vista e la rotta è quella di collisione.

martedì 9 giugno 2009

Paul Krugman contro Karl Denninger

Il premio Nobel Prof. Paul Krugman prevede che la recessione USA finirà presto, probabilmente entro settembre.

Nello stesso giorno il blogger Karl Denninger suggerisce che è arrivato il momento di essere preparati al peggio: famiglia, contanti, cibo e armi da fuoco.

Si direbbe una lotta impari, un professore di Harvard nonché premio Nobel per l'economia contro uno sconosciuto informatico diventato trader... un rinomato accademico esperto di crisi finanziarie contro un autodidatta della finanza.

Il tempo dirà quale dei due ha saputo leggere meglio nei fondi del proprio caffè.

Personalmente non scommetterei la casa sulla ripresa imminente, per lo meno fino a quando il mercato del credito continua a comportarsi così:


Aggiornamento: Karl Denninger ha preso sul serio l'idea della sfida con Krugman!

venerdì 5 giugno 2009

Gli interessi sul debito americano e la cascata

Sembra proprio che il vecchio Ben Bernanke, presidente delle Federal Reserve, abbia un problema: non ha idea di come funzionino il denaro e il debito. Che per un banchiere centrale, anzi per il banchiere centrale più influente al mondo, è una pecca non da poco.

Come notato in Come si riconosce il crollo dei mercati del credito? il vecchio Ben sta perdendo il controllo del mercato del credito e in particolare dei tassi sul debito pubblico di lungo periodo. Il grafico seguente (en) è l'indice dei titoli del Tesoro a 10 anni, rappresenta il tasso moltiplicato 10, ad esempio 38 indica un tasso del 3,8%:


E come notato nello stesso post, perdere il controllo del tasso di riferimento del debito, per una economia iper-finanziarizzata come quella americana, significa perdere il controllo a cascata dell'intera economia. Oggi il tasso di riferimento per i mutui immobiliari a tasso fisso a 30 anni è quotato sopra il 5,50% da quasi tutti con picchi del 5,75%. Ad esempio queste sono le quotazioni di Wells Fargo:


I tassi dei mutui a 30 anni hanno sfiorato il 4,50% poche settimane fa e in molti erano in lista per rifinanziare. Ma ora non più.

E in cascata? Case, banche, aziende, etc.

Ben pensa che il quantitative easing, ossia stampare denaro per pagare i debiti invece di guadagnarselo, è la soluzione per la crisi finanziaria.

La realtà gli sta mostrando gentilmente, per ora, che i sui modelli economici non valgo un accidente. Ben non sembra un ragazzo troppo sveglio e con le buone potrebbe non capire, nel qual caso la realtà passerà modi meno gentili. Chiedete alla banca centrale della Lettonia quanto sia educativa l'esperienza (en).

Aggiornamento: Wow! Ho appena trovato un grafico del rendimento dei buoni del Tesoro USA a 2 anni ed è addirittura più inquietante di quello a 10 anni:


Per i non addetti ai lavori: l'esplosione dei rendimenti implica il crollo dei prezzi e poiché gli speculatori del mercato creditizio, in prima fila banche ed hedge fund, utilizzano leve finanziarie inverosimili sui titoli sicuri come quelli a due anni, si ipotizza che la mattinata del 5 giugno verrà ricordata a lungo e con dolore da parecchi operatori.

Ma mentre la continua debolezza dei titoli a 10 anni la si può spiegare con l'intezione dichiarata della Cina e degli altri investitori internazionali di mettere al sicuro le proprie immense riserve rispetto al rischio di inflazione sul lungo periodo che temono sarà generata dal quantitative easing, il tracollo dei titoli a due anni, così violento e repentino ha colto quasi tutti di sorpresa.

Forse si tratta solo di un messaggio lanciato dalla Cina agli Stati Uniti di smetterla qui e ora con i giochetti monetari e fiscali. L'equivalente di una testa di cavallo mozzata lasciate all'entrata della Federal Reserve e del dipartimento del Tesoro. Ancora non è chiaro come interpretare la cosa.

mercoledì 3 giugno 2009

"General Motors" diventa "Government Motors"

A quasi un anno esatto dalla introduzione della mia death watch list di aziende in crisi General Motors ha finalmente trovato la strada del tribunale fallimentare come aveva già fatto la Chrysler poche settimane fa. Dico "finalmente" perché la più grande casa automobilistica degli Stati Uniti è il prototipo dell'azienda specializzata in prodotti invendibili in un mercato sano che è sopravvissuta esclusivamente grazie alla bolla del debito/credito.

Il mercato delle auto è uno dei mercati colpiti più duramente dalla crisi perché, insime al mercato immobiliare, perché è quello a maggiore intensità di debito. Negli Stati Uniti, anche più che negli altri paesi del mondo, acquistare un auto significa acquistarla a rate, magari usufruendo di "promozioni" come rate ribassate per i primi anni, ammortizzazione negativa o addirittura potendo spostare sull'auto nuova le rate rimanenti di una vecchia. Inutile dire che nell'ultimo frangente dell'orgia del debito, a metà 2007, il prodotto finanziario più in voga era il finanziamento auto sub-prime.

L'intera industria dell'auto mondiale, e quella americana ben più di altre, era basata sulla produzione di auto inutilmente costose e ineffcienti vendute a rate a persone che non potevano permettersele (la descrizione suona familiare).

Inoltre mentre il vantaggio personale di possedere un auto nelle società moderne è molto alto, il vantaggio di avere un'auto "nuova", "grande" e "bella" è relativamente marginale, di fatto la decisione di acquistare un'auto nuova nasce quasi esclusivemnte da motivazioni edonistiche alle quali è facile rinunciare in caso di crisi.

E così oggi tutti a domandarsi quale sia il problema che affligge il mercato dell'auto in calo del 30% l'anno, quando in realtà quello che stiamo osservando è solo un'inizio di soluzione. E via i governi a tentare di "salvare", senza poi nemmeno riuscirci, posti di lavoro che non dovrebbero esistere in primo luogo.

Il mercato dell'auto non si riprenderà, non tornerà a come era nel 2006 per il semplice motivo che, come per molti altri mercati, l'anomalia era allora. Ora si sta semplicemente tornando alla normalità.

mercoledì 27 maggio 2009

Come si riconosce il crollo dei mercati del credito?

Secondo Karl Denninger di Market Ticker da due cose:
  1. il rendimento dei titoli di stato di lunga durata esplode verso l'alto, più o meno così:

  2. e i tassi dei mutui aumentano da un giorno all'altro più o meno così:

    (per chi non ha gli occhi così buoni, il tasso medio di un mutuo a 30 anni che ieri era al 5,08% oggi è al 6,53%!)
Lascio come semplice esercizio per il lettore di stabilire la relazione tra un aumento del 30% del tasso dei mutui, e il prezzo delle case e a seguire tra il prezzo delle case e la dimensione delle perdite nei bilanci delle banche...

SPX 930,17 già somiglia a una vetta destinata a rimanere inviolata per parecchi anni.

Aggiornamento: Il salto dei tassi d'interesse sui mutui è riportato da diverse fonti, ma i numeri dati variano sensibilmente. In ogni caso la trasmissione dai rendimenti dei titoli di stato e i tassi dei mutui avviene principalmente per tramite dei rendimenti delle obbligazioni di Fannie Mae e Freddie Mac che ovviamente ieri sono andati alle stelle.

Aggiornamento: come notato anche da andrea nei commenti i valori dei tassi medi dei mutui che si trovano su internet sono molto volatili e il valore atronomico di 6,58% è riportato solo da erate.com. Numerosi blog hanno riportato le reazioni e i commenti di professionisti dei mutui e il numero che sembra essere giusto è 5,50%, ma solo per un mutuo prime e a patto di trovare un finanziatore. Vedi ad esempio Denninger Bernanke: How's The Vise Feel? e Mish Mortgage Market Locks Up riportano che il mercato è effettivamente andato in fibrillazione.

domenica 24 maggio 2009

Barack Obama: "Non abbiamo un soldo, ora."

"We are out of money, now." Barack Obama, 23 maggio 2009.
In una intervista al canale pubblico C-SPAN il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha candidamente ammesso che "gli Stati Uniti non hanno un soldo". Ovviamente quello che è sorprendente no è "cosa" ha detto, qualunque persona di buon senso sa cosa significa avere $11.000 miliardi di debiti, ma "come" lo ha detto. Tutti ci aspettavamo che si sarebbe nascosto dietro le solite parole magiche "debito pubblico", "deficit", "partite correnti", studiate apposta per sfuggire alla comprensione immediata dell'uomo della strada. I politici sanno che se il mio stipendio non arriva a fine mese "non ho un soldo" ed è qualcosa che capisco molto bene, mentre se a fine mese non ci arriva il governo basta chiamarlo "spesa in deficit" perché non appaia altrettanto grave.

Invece Obama usa la fatidica frase pronunciata da decine di milioni di famiglie americane negli ultimi due anni: "We are out of money, now".

Sia stato un lapsus o un messaggio lanciato per sondare la reazione degli investitori internazionali, è rinfrescante vedere, per una volta, un politico dire candidamente come stanno le cose.

Chi volesse godere in prima persona di un tale raro e prezioso evento può andare al minuto 13:20 del video e seguire con la trascrizione redatta dal Drudge Report:


[...]

SCULLY: You know the numbers, $1.7 trillion debt, a national deficit of $11 trillion. At what point do we run out of money?

OBAMA: Well, we are out of money now. We are operating in deep deficits, not caused by any decisions we've made on health care so far. This is a consequence of the crisis that we've seen and in fact our failure to make some good decisions on health care over the last several decades.

So we've got a short-term problem, which is we had to spend a lot of money to salvage our financial system, we had to deal with the auto companies, a huge recession which drains tax revenue at the same time it's putting more pressure on governments to provide unemployment insurance or make sure that food stamps are available for people who have been laid off.

[...]

sabato 23 maggio 2009

Intesa Sanpaolo: "... in considerazione anche degli effetti prodotti dall'attuale crisi economica e finanziaria"

Ieri ho ricevuto l'ennesima "Proposta di modifica unilaterale di contratto di conto corrente" e sentivo la puzza di bruciato prima ancora di aprire la busta:
Le comunichiamo che la Banca ha deciso di modificare alcune condizioni economiche [...] in conseguenza dell'entrata in vigore di nuove disposizioni in materia di contratti bancari [...] e in considerazione anche degli effetti prodotti dall'attuale crisi economica e finanziaria.

Queste sono le modifiche che saranno apportate:
  • [...] non sarà più applicata la commissione trimestrale di massimo scoperto;
  • le seguenti condizioni economiche:
    • oneri per scoperto di conto;
    • spese per gestione di scoperto di conto;
    sono sostituite dalla commissione per scoperto di conto, nella misura di 2 € per ogni giorno in cui sul conto si è determinato un saldo debitore e per ogni 1.000 euro di saldo debitore (o frazione)
La commissione per scoperto di conto è calcolata al termine di ogni trimestre solare; [...]
Grazie al cielo non ho mai avuto bisogno di sapere di preciso quali fossero le condizioni applicate nel caso di uno scoperto di conto, ma ricordo che quando lessi il contratto al momento della sottoscrizione mi si rizzarono sulla testa i capelli che già non avevo più, per la complessità e l'esosità di commissioni e tassi d'interesse.

Nonostante la mia pessima disposizione d'animo verso le banche moderne (oltre ad essere solamente dei parassiti sono anche dei parassiti estremamente inefficienti) nei primi 40 secondi ho provato a prendere la cosa come una semplificazione del rapporto contrattuale e quindi in positivo. Poi ho acceso il cervello per spiegare a mia moglie, nonché cointestataria del conto, cosa significava il nuovo regime: "Praticamente ti fanno pagare lo 0,2% al giorno cumulato ogni 3 mesi, chiamandolo una commissione..."

0,2% al giorno? Sì, sì. Due euro al giorno per ogni 1.000 euro di scoperto (o frazione!) addebitati sul conto ogni trimestre.

Chi fosse così pazzo da tenere uno scoperto di conto di 1.000 euro per un anno dovrebbe pagare 730 euro di commissioni per il privilegio. Non ho la forza di cercare il vecchio contratto e verificare se le condizioni precedenti fossero addirittura peggiori, ma le nuove condizioni sono ridicole. E per fortuna che si tratta solo di "innocue commissioni", se l'avessero chiamato "tasso di interesse" avrebbero dovuto scrivere "73% l'anno".

È confortante sapere che "... in considerazione anche degli effetti prodotti dall'attuale crisi economica e finanziaria" la mia banca si prepara ad applicarmi un tasso d'interesse del 73% l'anno, cumulato ogni 3 mesi, nel caso dovessi trovarmi in difficoltà.

Aggiornamento: come notato da mirko radice nei commenti nella lettera è chiaramente specificato che l'importo della commissione di massimo scoperto è limitato a 100 euro al trimestre e quindi nell'esempio sopra la banca incasserebbe in un anno 400 euro anziché 730 per uno speudo interesse del 40% annuo. La sostanza non cambia di molto poiché nell'esmpio avevo preso un caso piuttosto sfavorevole alla banca, infatti il caso peggiore è uno mantenere uno scoperto di 101 euro che genererebbe comunque 400 euro l'anno di commissioni!

venerdì 22 maggio 2009

BankUnited fallisce di giovedì e coglie di sorpresa tutti i blogger

Anche se mentre scrivo qui in Italia è già venerdì, la chiusura, da tempo annunciata, di BankUnited di giovedì pomeriggio anziché il classico venerdì, ha preso in contropiede tutti i blogger e fa sospettare che gli alacri becchini delle FDIC abbiano del lavoro grosso da fare domani e non vogliano avere intralci da una banchetta con appena, si fa per dire, $8,6 miliardi di depositi e $4,9 miliardi di buco (!!).

Durante la lunga festa per lo scampato pericolo parecchie altre banche hanno ricevuto inosservate il freddo abbraccio della FDIC e BankUnited è già la numero 34 quest'anno a chiudere i battenti con disonore.

Adesso che l'entusiasmo per lo scampato pericolo sta iniziando a svanire è ora di cominciare a domandarsi: "Ma il pericolo è stato scampato davvero?"


In breve: "No".

Mi scuso per essere sparito e spero di essere tornato.

martedì 24 marzo 2009

Il piano Gaithner come il piano Paulson: toglie a tutti per dare alle banche

Tutto questo finirà male, molto male.

Dopo la granta del quantitative easing lanciata mercoledì dalla FED, e ben analizzata dal sempre eccellente Stand nel post L'ultima cartuccia, ieri il Tesoro ha fatto la sua parte annunciando finalmente i dettagli del piano Geithner.

La migliore analisi del piano Geithner e i puntatori ad altre eccellenti analisi è il post di Steve Randy Waldam Dark musings, 2009-03-24 (en) e posso riassumerlo in breve:
  1. l'obbiettivo dichiarato del piano "riparare lo stato patrimoniale del sistema finanziario" è inutile perché il problema vero è "riparare lo stato patrimoniale dei consumatori e delle aziende"
  2. l'obbiettivo reale e non dichiarato è dare soldi, tanti e gratis, alle banche attraverso uno schema fraudolento appena mascherato
  3. a pagare il conto saranno i contribuenti americani o, in alternativa, i creditori del Tesoro americano (Cina i prima fila) nel caso un giorno si arrivi al default
  4. Tim Geithner e la sua banda di banchieri considerano gli americani dei perfetti idioti che si bevono assolutamente di tutto (e potrebbero anche avere ragione nel 99% dei casi)
Dal punto di vista economico le elezioni presidenziali non hanno cambiato assolutamente nulla. Obama è Bush, Geithner è Paulson e Bernake... beh, è addirittura peggiore di sè stesso.

Sto male al solo pensiero che al più presto il piano sarà copiato dagli zelanti politicanti europei.

La lotta della classe dirigente fallita per rimanere al potere era prevedibile e prevista, ma vederlo sotto i proprio occhi fa comunque un effetto orribile.

sabato 14 marzo 2009

Il sistema delle riserve frazionarie spiegato da Karl Denninger

Karl Denninger di Market Ticker (en) è uno dei blogger più acuti tra quelli che seguo regolarmente, anche se usa toni, linguaggio e persino una presentazione grafica piuttosto estremi sono in pochi al mondo a potersi vantare di aver avuto ragione in maniera altrettanto puntuale e consistente per tutta la durata della crisi. Oggi ha pubblicato un eccellente articolo sul funzionamento del sistema bancario con riserve frazionarie con l'obbiettivo di chiarire una volta per tutte la madornale confusione su cosa sia veramente il fractional reserve bannking e cosa implichi realmente in un sistema finanziario.

Mi piacerebbe tradurne buona parte, ma come si sarà capito dalla mia assenza piuttosto prolungata la vita reale, lavorativa e non, ha preso nuovamente il sopravvento e non me lo posso proprio permettere. Posso solo limitarmi a invitare le persone interessate all'argomento e che leggono l'inglese a prendersi il tempo per leggerlo con calma e meditarlo. Ho i miei distinguo rispetto ad alcuni dettagli e a un punto significativo, ma è una delle cose più chiare e corrette che si trovano in giro. Per chi fosse interessato all'argomento ho affrontato la questione delle riserve frazionarie, su sollecitazione di Andrea, anche nei commenti al mio post Volker: la crisi può essere peggiore della Grande Depressione.

domenica 1 marzo 2009

SPX 735 e DJIA 7,063

Venerdì sera l'indice Standard & Poor's 500, detto SPX, ha chiuso le contrattazioni del giorno, della settimana e del mese a quota $735. Non chiudeva così in basso dal dicembre del 1996, più di dodici anni fa.

Questo fine settimana in molti si sono esercitati nel riprendere i grafici di lungo periodo dei principali indici azionari americani e mondiali e nel ricavarne predizioni e indicazioni per gli investimenti, in generale piuttosto fosche. Io mi limito a riportare i due grafici che credo più rilevanti per capire la portata storica di questa crisi, si tratta in entrambi i casi di grafici storci dell'indice Dow Jones Industrial Average , detto DJIA o semplicemente Dow, il più antico tuttora in uso, anche se ora è considerato meno rappresentativo.

Il primo grafico tratto da Dogs of the Dow rappresenta il valore nominale dell'indice e il valore aggiustato per l'inflazione come misurata dal Consumer Price Index (CPI) ufficiale e serve a capire come i valori nominale sono influenzati dall'inflazione sul lungo periodo.

Si noti che:
  • il grafico va dal 1900 a oggi ed è in scala logaritmica
  • il valore nominale (curva blu) è espresso in dollari del tempo
  • il valore aggiustato per l'inflazione (curva verde) è espresso in dollari del 1900 utilizzando il valore ufficiale del CPI
  • al valore nominale di oltre $14,000 raggiunto nel 2007 corrisponde un valore aggiustato di poco superiore a $1,000 del 1900
  • dalla fine degli anni '60 ai primi anni '80 l'effetto dell'inflazione trasforma in una apparente stagnazione dei mercati quello che in realtà è un furioso bear market che dura oltre 15 anni e taglia i valore reali di ben oltre il 50%
Il secondo grafico tratto da Fred's Intelligent Bear Site rappresenta solo i valori del Dow aggiustati per l'inflazione con alcune modifiche all'indice ufficiale CPI giustificate dal cambiamento delle tecniche di misura di quest'ultimo. Negli ultimi cento anni l'indice reale è rimasto ben confinato in un ampio canale esponenziale.

Si noti che:
  • il grafico va dal 1910 a oggi ed è in scala logaritmica
  • il valore reale è espresso in dollari di oggi e quindi i valori sono diversi da quelli del grafico precedente
  • a causa delle variazioni utilizzate rispetto al CPI il picco recente è stato raggiunto nel 2000 vicino a quota $20,000 (!)
  • la linea verde rappresenta un apprezzamento reale dell'1,9% l'anno che diventa appena l'1,1% dopo le tasse, poiché i capital gains sono calcolati sul valore nominale e quindi sistematicamente sovrastimati (!)
  • la linea viola del canale che sembra contenere le oscillazioni di lungo periodo si trova un po' sotto i $4,000 e non è improbabile che sia ora di fare visita da quelle parti
Dando per buona la tecnica di aggiustamento per l'inflazione, il valore di chiusura del DJIA di venerdì $7,063 è pochi dollari sopra al picco del 1929. Qualcosa su cui riflettere.

domenica 22 febbraio 2009

Volker: la crisi può essere peggiore della Grande Depressione

Ok, finalmente lo ha detto qualcuno, e qualcuno di pesante. Da ora posso finalmente parlarne senza rischiare di venire accusato di disfattismo: questa crisi potrebbe essere peggiore della Grande Depressione (en).

Chi?

Paul Volker (en) è stato a capo della Federal Reserve tra il 1979 e il 1987 ed è considerato colui che ha riportato il sistema monetario americano alla normalità dopo l'abbandono del gold standard nel 1971 e l'inflazione a due cifre degli anni settanta e ottanta. Paul Volker è l'unica persona vagamente ragionevole nel intero settore economico e finanziario dell'amministrazione Obama e per questo è stato immediatamente marginalizzato dai vari Geithner e Summers (en) che invece sono gli alfieri del sistema finanziario morente.

Cosa?

Come riportato dalla CNBC Volker dice:
"I don't remember any time, maybe even in the Great Depression, when things went down quite so fast, quite so uniformly around the world''

"Non ricordo alcun tempo, probabilmente neppure durante la Grande Depressione, quando la situazione è precipitata così rapidamente e uniformemente in tutto il mondo"
E, dall'alto dei suoi 82 anni, il ragazzo ricorda parecchio.

E quindi?

Sfortunatamente col passare del tempo e soprattutto con la sempre più evidente totale incapacità dei governi di capire e rispondere alla crisi questo scenario sta guadagnando punti. Per il momento non è ancora il mio scenario più probabile, ma dal 2007 ad oggi è costantemente avanzato nella mia lista di futuri possibili.

In sintesi lo scenario è il seguente: il parallelo col 1929 si applica alla perfezione al 2001, implosione della bolla dei mercati azionari e del debito aziendale, contagio internazionale, depressione economica, deflazione, etc. Invece nel 2002 i Bush e i Greenspan del mondo hanno rilanciato e per contrastare il crollo della bolla speculativa azionaria hanno intenzionalmente spinto la società americana a partecipare in massa all'unica bolla speculativa abbastanza grande da poter temporaneamente rilanciare i mercati finanziari, quella immobiliare. E la frenesia speculativa ha contagiato quasi tutti gli altri Paesi e ha raggiunto scala mondiale tanto che addirittura le banche centrali dei Paesi emergenti hanno partecipato in massa (tramite le obbligazioni di Fannie e Freddie). Dunque assumendo che i politici non abbiano imparato nulla dalla storia, a partire dal 2001 avremmo dovuto avere l'equivalente della Grande Depressione e il costo per aver rimandato l'inevitabile di nemmeno 10 anni sarà inevitabilmente qualcosa di peggiore della Grande Depressione.

Il grafico del debito totale negli Stati Uniti come percentuale del PIL racconta questa storia in maniera estremamente suggestiva.

Si noti che:
  • la Federal Reserve è stata fondata nel 1913, poco prima dell'inizio di questo grafico e giusto in tempo per poter essere additata come causa scatenante dell'orgia di debito che ha portato alla Grande Depressione,
  • l'origine della crisi attuale è da ricercare all'inizio degli anni ottanta quando il rapporto debito su PIL ha iniziato la folle corsa che lo ha portato nel 2003 a superare il record stabilito 70 anni prima,
  • buona parte del crollo della quantità di debito dal '33 al '50 non è dovuto al fatto che i debitori hanno ripagato i propri debiti, ma al fatto che li hanno ripudiati, tramite default diretto o inflazione.
Che ci piaccia o no, si tratta di uno degli scenari sul tappeto. Adesso che Volker lo ha evocato sarebbe bene discuterne con serietà e misurare quanto sia realistico o irrealistico e perché. Al momento non vedo nulla che lo escluda a priori, al contrario.

lunedì 16 febbraio 2009

Nazionalizzazione delle banche: Stati Uniti, Gran Bretagna, Irlanda, la moda impazza

Sembra che il tema della nazionalizzazione delle banche stia infuriando: il sistema bancario irlandese è sempre più sotto il controllo statale, in Gran Bretagna è attesa la nazionalizzazione di Lloyds già domani mattina e negli Stati Uniti si comincia a parlare seriamente della nazionalizzazione completa di Citigroup e Bank of America.

Inoltre sta cominciando a circolare l'idea che, con l'accelerare della crisi economica mondiale, le banche europee possano rivelarsi a rischio addirittura più elevato di quelle americane. E questo ovviamente metterebbe a dura prova sia l'unione monetaria che quella economica.

Insomma, io comincio a sentire una forte, fortissima puzza di bruciato venire dalla direzione dell'Europa. Spero di sbagliarmi, ma temo che l'Europa e l'euro finiranno presto per rubare la scena della crisi agli Stati Uniti e al dollaro. Non vorrei sembrare allarmista, ma a mio parere i consigli dati in Dislocazioni monetarie ovunque, Sterllina, Euro crollano, Yen e Dolaro esplodono continuano ad essere validi.

sabato 14 febbraio 2009

Il pacchetto di stimolo all'economia, domande e risposte

Traduzione dell'originale di Barry Ritholtz Stimulus Package Explained (Q&A).
Ad un certo punto quest'anno i contribuenti riceveranno un assegno di stimolo economico. Questo è un nuovo eccitante programma governativo che spegheremo con le seguenti domande e risposte.

D. Cosa è un assegno di stimolo economico?
R. È denaro che il governo federale manda ai contribuenti.

D. Da dove prenderà questo denaro il governo?
R. Dai contribuenti.

D. Quindi il governo mi ridà indietro i miei propri soldi?
R. No, se li faranno prestare dalla Cina. E i tuoi figli dovranno poi ripagare i Cinesi.

D. Quale è lo scopo dell'assegno?
R. L'idea è che tu lo userai per comprare un televisore ad alta definizione nuovo, stimolando in tal modo l'economia.

D. Ma questo non sarebbe in realtà uno stimolo per l'economia Cinese?
R. Chiudi il becco!

Segue qualche consiglio su come meglio aiutare l'economia Americana spendendo oculatamente i soldi dello stimolo:
  • Se spendi i soldi a Wal-Mart, tutti i soldi finiscono in Cina.
  • Se li spendi in benzina vanno a Hugo Chavez, agli arabi e ad Al Queda.
  • Se compri un computer vanno a Taiwan.
  • Se compri frutta e verdura vanno in Messico, Honduras e Guatemala.
  • Se compri un'auto vanno in Giappone e Corea.
  • Se compri dei medicinali vanno in India.
  • Se compri dell'eroina vanno ai Talebani in Afganistan.
  • Se li dai in beneficenza vanno in Nigeria.
In nessun caso questo sarà d'aiuto per l'economia americana. Dobbiamo tenere i soldi in qui in America. Puoi tenere i soldi in America spendendo ai mercatini dell'usato o andando allo stadio a vedere il baseball o con prostitute, birra (nazionale) e tatuaggi, perché queste sono le uniche attività economiche ancora presenti negli USA.

Banche fallite negli USA: il gioco si fa duro

La FDIC ha preso il controllo di altre quattro banche questo venerdì, forse approfittando del fatto che questo negli Stati uniti è un week-end lungo. In ogni caso c'è da apprezzare la sottile ironia dell'aver raggiunto quota 13 banche fallite nel 2009 proprio un venerdì 13.

Diversamente dal solito le banche non sono nelle prime posizioni della lista non ufficiale delle banche in difficoltà. Due banche non sono affatto presenti e le due presenti occupano posizioni di mezza classifica, una è addirittura la #140.

giovedì 12 febbraio 2009

Per il 2009 tra inflazione e deflazione Google sceglie...

... andiamo con ordine.

Prima di scoprire a cosa si sta preparando Google vediamo cosa ci sa dire Google Trends riguardo all'acceso dibattito tra inflazionisti e deflazionisti. Google Trends è uno strumento sperimentale di Google che misura la frequenza di una data parola nelle ricerche degli utenti e nelle news:


Si osserva che:
  • gli utenti del web sono da sempre molto più interessato all'inflazione che alla deflazione,
  • nel 2008 c'è stato uno straordinario interesse per l'inflazione da parte dei giornali (circolo celeste) al quale è corrisposto un forte aumento dell'interesse degli utenti del web,
  • a partire da ottobre 2008 gli utenti del web cominciano ad interessarsi alla deflazione (circolo rosso), seguiti con poco entusiasmo dai giornali, i quali nel frattempo si sono disinnamorati dell'inflazione,
  • il grande pubblico non sembra ancora granché interessato all'iperiflazione.
La mia interpretazione:
  • nel 2008 si è consumato l'ultimo spasmo di una delle ultime bolle speculative di questo grande ciclo economico, la bolla delle commodities (energia, materie prime, prodotti agricoli, bestiame, etc.) che poi altro non è che la bolla dell'inflazione,
  • i giornalisti, chi per ignoranza e chi per cattiva fede, hanno pompato all'inverosimile la paura dell'inflazione spingendo il grande pubblico a comprare petrolio e altre commodities al picco dei prezzi,
  • quando a settembre 2008, con appena un anno di ritardo, i mass media si sono arresi all'evidenza e hanno ammesso al grande pubblico che la crisi era una cosa molto seria, il crollo contemporaneo delle commodities e dei mercati immobiliari e azionari di tutto il mondo ha acceso l'interesse degli utenti del web sul concetto di deflazione,
  • fino ad ora i giornali si sono mostrati piuttosto reticenti sulla deflazione.
E Google l'azienda che ne pensa? A giudicare dal motto della nuova campagna pubblicitaria sulla promozione web durante la recessione:
"Do more with less" - "Fai di più con meno"
Google ha fatto una scelta di campo: il futuro è deflazione.

Guardatevi intorno, se vedete persone che cercano di fare di più con meno o aziende che propongono di fare di più per meno, quello che state vedendo è deflazione. Se gli amici vi parlano della rata del mutuo anziché della macchina appena comprata a rate, vi stanno parlando di deflazione. Quando vi accorgete che sono veramente tanti gli amici e i conoscenti che hanno già perso il lavoro, quello di cui vi accorgete è deflazione.

martedì 10 febbraio 2009

Le banche russe, $400 miliardi di debito e un grosso problema

Aggiornamento: La Russia ha smentito con forza la notizia.

Il crollo del prezzo del petrolio ha messo in ginocchio i sistemi finanziari dei Paesi esportatori. La notizia di oggi è una di quelle pesanti, banche e aziende russe chiedono l'aiuto del governo nella rinegoziazione di $400 miliardi di debiti con i finanziatori internazionali. Attenzione però a leggere la notizia correttamente, tenete presente che:
  • il debito in questione è dovuto da banche e aziende russe, non è debito pubblico,
  • le banche e le aziende non riescono a fare i pagamenti pattuiti e stanno cercando di rinegoziare i termini con i finanziatori internazionali in forma privata,
  • la notizia è che formalmente banche e aziende hanno semplicemente chiesto al governo di aiutarle nelle trattative con i finanziatori,
  • solo se il governo decidesse di mettere una garanzia o dare altre forme di aiuto di Stato allora il problema interesserebbe il debito pubblico russo,
  • al inizio 2008 il debito pubblico russo si attestava sotto i $50 miliardi, al 7% del PIL, uno dei valori più bassi al mondo,
  • $400 miliardi sono comunque un grosso problema per una economia da $1.800 miliardi nel 2008 e probabilmente molto meno nel 2009.
La notizia, di per sé, non è quella di un default imminente sul debito russo, ma bastano un a paio di decisioni politiche azzardate e può diventarlo.

Aggiornamento: La Russia ha smentito con forza la notizia.

domenica 8 febbraio 2009

Fallite altre tre banche negli Stati Uniti

Poiché la crisi ha decisamente cambiato passo da un po' di tempo non mi occupo più dei fallimenti delle piccole banche americane col dettaglio di una volta, ma questa è la seconda settimana consecutiva che la FDIC fa una tripletta (en) e va per lo meno segnalato:
L'anno scorso di questi tempi era fallita una sola banca, quest'anno siamo a già a quota nove (en). Si direbbe che con l'amministrazione Obama la FDIC abbia cambiato passo. E adesso che anche il mercato immobiliare commerciale sta crollando il passo non può che accelerare, aspettatevi almeno una decina di banche fallite a settimana nel prossimo futuro.

Come sempre per sapere in anticipo quali banche falliranno nei prossimi venerdì basta scorrere la lista non ufficiale delle banche in difficoltà (en), compilata da un signor nessuno di internet sulla base delle informazioni pubblicate dalla FDIC stessa e straordinariamente accurata.

sabato 7 febbraio 2009

Le economie avanzate sono già in depressione?

Sembra che il meme della "depressione economica" stia cominciando a circolare e a diffondersi.

Oggi Bloomberg ha in prima pagina un articolo dal titolo decisamente allarmante IMF Says Advanced Economies Already in Depression e che attacca così:
Advanced economies are already in a depression and the financial crisis may deepen unless the banking system is fixed, International Monetary Fund Managing Director Dominique Strauss-Kahn said.

Le economie avanzate sono già in depressione e la crisi finaziaria può diventare ancora più profonda se non si mette a posto il sistema bancaria, dice Dominique Strauss-Kahn, direttore del Fondo Monetario Internazionale.
Qualche giorno fa il primo ministro inglese Grodon Brown ha affermato:
"We should agree, as a world, on a monetary and fiscal stimulus that will take the world out of depression."

"Dobbiamo accordarci in tutto il mondo su uno stimolo monetario e fiscale che tirerà il mondo fuori dalla depressione"
salvo poi far circolare un comunicato di correzione in cui si dice che intendeva dire "recessione" e no "depressione".

È mia opinione che effettivamente la maggior parte delle economie avanzate siano già entrate in una fase di depressione economica o siano sulla strada, ma il fatto che improvvisamente se ne parli ai massimi livelli internazionali inizialmente mi ha preso alla sprovvista. Ma ovviamente quando il capo dell'IMF o una qualsiasi altro politico afferma qualcosa non ci si deve chiedere se sia giusto o sbagliato, intelligente o stupido, ma solo a quale scopo lo abbia detto.

A questo proposito vale la pena di ricordare che in questi giorni si stanno valutando in tutto il mondo stimoli fiscali (en) e nuovi piani per il salvataggio delle banche insolventi (en) ancora in circolazione e che tutti questi piani, negli Stati Uniti come qui da noi, altro non sono che forme via via più sottili di socializzazione delle perdite e privatizzazione dei profitti.

A settembre e ottobre dell'anno scorso politici di mezzo mondo hanno prima seminato il panico e poi approfittato della paura e del senso di urgenza dell'opinione pubblica per far passare leggi a favore di banchieri e industriali senza dover rispondere a troppe domande.

La mia impressione è che la tecnica sia piaciuta e sia stata considerata replicabile.

Depressione e domande

Ma intanto il meme della "depressione economica" si diffonde e sempre più persone cominciano a farsi semplici domande del tipo: "come è mai possibile?", "perché nessuno ha previsto nulla?", "ma chi ci ha guadagnato?". Le mie risposte ad alcune di queste domande le si trovano ne il meglio di castelli di carte e qualche altra risposta la si può trovare in un lungo post di Karl Denninger in cui propone una sua classificazione delle crisi economiche e spiega perché secondo lui questa è chiaramente una depressione.

Più persone si fanno domande, più imparano a riconoscere risposte credibili, più ci avviciniamo alla fine della crisi e, forse, all'inizio di qualcosa di nuovo. Ma la strada è ancora lunga.